Revista de Ciencias Jurídicas N° 160 (1-39) ENERO-ABRIL 2023
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esposte. Solo se la durata del parlamento fosse stata più lunga, la disposizione dell’art. 149
avrebbe potuto restringere la forza del potere sospensivo esercitabile dal re.
I fatti del 1812 (come quelli del Regno delle Due Sicilie del 1820) sono espressione
di
un

regime

transitorio,

dove

la

contrapposizione

dualistica

re

e

sovranità

nazionale

si
basava essenzialmente su un patto costituzionale fra le due fonti di sovranità, re da un lato,
nobili
liberali
e

borghesi
dall’altro.
Si
tratta
di
separazione
degli

organi
dovuta
principalmente alla diversa ed eterogenea estrazione sociale dei due principali attori. Nelle
funzioni,
invece,

si

riscontra

la

partecipazione

del

re,

titolare

del

potere

esecutivo,

alla
formazione della legge mediante la “sanzione” e viceversa la partecipazione del parlamento
all’indirizzo politico-amministrativo con l’approvazione del bilancio (artt. 338-355).
La Costituzione di Cadice del 1812 non si sottrae al principio della rappresentatività
(anche se, non pienamente, come tante altre Costituzioni dell’epoca) che ne costituisce il
fondamento
politico.

La

crisi

dello

Stato

assoluto

coincide

con

il

titolo

d’investitura

del
sovrano (a seguito dell’affacciarsi sulla scena politico-economica di ceti emergenti, come
l’alta e media borghesia mercantile, bancaria e burocratica): l’investitura diretta, fondata sul
principio legittimista e teocratico, sostituita da un titolo “derivativo”
e “rappresentativo”,
fondato
ora

sul

principio

della

“volontà

nazionale”

e,

successivamente,

sulla

“volontà
popolare”. Con le prime Costituzioni moderne, e quindi anche la Costituzione di Cadice, il
sovrano
assume

formalmente

l’impegno

di

rispettare

i

diritti

dei

cittadini

e

vengono
predisposti
all’interno

delle

Carte,

strumenti

giuridici

per

garantire

tale

rispetto.

In

altri
termini, le Costituzioni moderne pongono accanto al Sovrano una serie di altri organi che
possono operare come “limite” del (o al) potere regio.
Anche la Costituzione del 1812 considera l’esistenza di due centri di autorità posti
“formalmente” in posizione paritaria, il re e il parlamento. Stabilire che la sovranità risiede
essenzialmente nella nazione rappresenta il tentativo di eludere il problema se la sovranità
debba spettare al re (potere esecutivo) o ai rappresentanti della nazione, cioè al parlamento,
art. 27 (quest’ultimo espressione del potere legislativo condiviso con il re). Il risultato di
questa impostazione è l’aver affidato la soluzione ai rapporti di forza politica tra i due corpi
costituzionali (re e parlamento), fino a che un organo riuscirà a prevalere politicamente (o
anche con l’uso della forza) sull’altro. La Costituzione del 1812 creava due poteri uguali
senza indicare nessun mezzo per risolvere i conflitti che sarebbero potuti insorgere tra loro: